venerdì 7 novembre 2014

Un tuffo nel passato con la sosta a Kashgar (Cina)

Sono al secondo piano, nel dormitorio dell’ostello dove alloggio, è mattina e il sole sorge proprio davanti l’entrata della stanza. C’è sempre qualcuno che si sveglia prima di me, aprono la porta del dormitorio ed entra il gatto persiano che vive in questo stabile, viene sul bordo del letto a salutarmi: miao, miao, frrr. Lo guardo con gli occhi semi chiusi. Forse comprende che non sono di queste terre, con la barba bianca e bionda e i capelli scompigliati e dopo il saluto se ne va. Esco dalla stanza, ondate di fumo dal grill in strada che cucina spiedini di montone mi avvolgono dandomi uno strano buongiorno, annebbiandomi la vista! Buongiorno Kashgar! Anche oggi splende il sole! Davanti a me la piazza principale  di questa antica città e l’antica moschea Id Kah. Si odono i venditori per strada che richiamano l’attenzione dei passanti con un linguaggio a me indecifrabile: pane, carne di montone, frutta, oggetti di uso comune ma c’è anche chi, silenziosamente, a bordo strada chiede l’elemosina con il solo braccio posto in avanti e la mano aperta. Faccio colazione con quello che rimane di quello che ho comperato il giorno prima: banane, mele, tè o caffè solubile. Fantastico! E’ un privilegio fare colazione all’aperto comodamente seduto con il sole  sorto da poco. Molte volte, nei 40 giorni di corsa per arrivare in Cina, quando dovevo viaggiare da un posto all’altro, la colazione saltava e capitava di mangiare qualcosa nel pomeriggio o la sera. Una bella lavata alla faccia e via a farsi un giro, indossando sempre le solite cose che ogni tanto riesco a lavare: un paio di pantaloni color verde oliva con tasche ovunque e una maglia in pail, che sembrano essere diventati la divisa ufficiale per questo viaggio.
Per le strade, mentre cammino, si odono i clacson o i bizzarri allarmi dei mezzi di trasporto in sosta che continuano a scattare: sembra di essere alle giostre di una qualche sagra italiana. I tanti scooter che circolano funzionano a batteria e sono silenziosi, quindi devo stare attento a non rimanere investito perché non li sento arrivare da dietro. Ci sono ancora i carretti trainati da asini e cavalli che a vederli, mi portano indietro nel tempo come se fossi già stato in questo luogo.  La gente, anche qui  mi guarda incuriosita, ci sono pochi occidentali, almeno in questo periodo. Ci sono i venditori di 'hami gua' (il melone verde tipico dello Xinjiang), i panettieri che cucinano il pane 'naan' all'interno del loro forno , venditori di tabacco ma anche di pesche, uva, angurie, banane, zucche e la carne di pecora, il tutto nei loro carretti portatili.  La maggior parte dei passanti maschi indossa la 'doppa' il copricapo tradizionale, e sfoggia una barbetta sotto il mento, ben curata, lunga fino a venti centimetri. Le donne con il capo coperto dai veli colorati. Kashgar è una città dove si fondono più culture e tutti mi dicono che diversa dalla Cina orientale. E’ una città il cui passato è ben visibile:  nelle botteghe affacciate alla strada si praticano mestieri antichi: c’è il fabbro che batte il ferro incandescente, c’è il falegname che intaglia mestoli e giocattoli per bambini, c’è chi modella la cassa del mandolino. Non mancano comunque i negozi moderni e i supermarket.
Ci sono dei giorni in cui passeggio con una ragazza cinese di Shangai conosciuta in ostello. E’ un ottima compagnia, mi traduce quello leggo o sento in cinese, e mi è stata di aiuto per prenotare i tre biglietti del treno che mi porteranno da Kasgar fino a Lhasa in Tibet, un tragitto che farò assieme a lei. Per la prima volta dall’inizio di questa esperienza non viaggerò 'solo'. Sono un tipo solitario e così sto bene, questa è la mia principale natura, ma quando trovo buona compagnia per percorrere pezzi di vita, anche se brevi, è sempre un bel regalo di cui sono lieto.
Questa è la mia sosta a Kashgar. Dove ho il tempo per rilassarmi, prendermi cura di me stesso sotto altri aspetti. Fa parte di questo viaggio dove nulla è banale o scontato, nulla è monotono. Sono “costretto” a restare attento quasi sempre a tutto ciò che accade, perché in questo viaggio la mente non divaga nei trabocchetti della noia, né in quelli dell’attaccamento a qualcuno o qualcosa. Mi accorgo di quanto la vita possa  essere vissuta intensamente lasciandoti un costante senso di gratitudine anche nelle difficoltà. Grazie! Che in cinese si dice “Xie Xie”.  Il 9 novembre si avvicina, il viaggio verso il Tibet mi aspetta…