domenica 23 novembre 2014

Da Lhasa (Tibet-Cina) fino a Kathmandu (Nepal)

Da Lhasa fino a Kathmandu il viaggio è stato tutto di un fiato: un paesaggio montano a volte nevoso e avvolte secco, fiumi e deserto. Un continuo susseguirsi di questi panorama. Scendendo dalla vettura si poteva udire il vento e apprezzare i brividi del freddo anziché detestarli. Si spostavano le poche nuvole che non osavano oscurare il sole accecante, dando anche al cielo l’idea di movimento.  Un cane in sosta nel bordo della strada  guarda l’orizzonte. E’ li, randagio ma fiero come nessun altro cane visto prima in vita mia; non è costretto ad aver bisogno dell’umano per vivere. Mi inchino e lo saluto, lo vorrei come compagno di viaggio per un breve pezzo di vita, sarebbe un ottimo compagno indipendente. Piccole e solitarie mandrie di yak riesco a vedere, che non temono il freddo grazie alla lunga peluria. Questi animali sono fondamentali per la sopravvivenza dei tibetani: carne, un po’ di formaggio e latte. Qui non esiste frutta e verdura e il trasporto delle merci, come ad esempio i cereali, è complicato. Se ne occupano soprattutto i ragazzi giovani che per giorni e giorni camminano trasportando un enorme sacco con la cinta tenuta in fronte. Ogni tanto c’è un piccolo agglomerato di case: bimbi che incuranti del freddo giocano dentro un ruscello, con la “candela” penzolante al naso, e il volto impolverato. Ci salutano come fossimo un bel miraggio. Quanto vorrei riuscire a comunicare con loro! Ma non conosco la lingua tibetana e il campo base Everest ci aspetta prima del tramonto. Su e giù con la vettura a 8 posti: quante buche, lastre di ghiaccio e polvere su questa strada non asfaltata che porta all’Everest!  Siamo in sei: io, la guida, il pilota e una simpatica e cara famiglia, padre madre ed il figlio quasi trentenne. Vengono da  El Salvador, un piccolo stato dell’America centrale. Arriviamo al campo base, avrei sperato di essere sopra le nuvole e fare un bel video ma invece mi trovo davanti all’Everest, così imponente e accogliente che mi fa dimenticare le nuvole e mi fa girare la testa! Siamo a 5200 metri di altitudine, manca un po’ di ossigeno, così ne approfitto per “sballarmi” ancora di più, girando velocemente su me stesso fino a perdere l’equilibrio. Woooooooooo!!! Wooo Wooo Wooo!! E’ il mio grido di liberazione, qui solo il cosmo mi più sentire! Non sento più nulla, nemmeno i dolori cervicali che il freddo, il vento e le continue vibrazioni della vettura avevano momentaneamente risvegliato! Sono quei momenti in cui potresti morire ed essere in pace. Hai risolto il tuo debito, sono finite le domande, hai tutte le risposte perché hai la conferma di quale dovrebbe essere il tuo naturale state d’animo… Beatitudine e non sofferenza mascherata da felice ipocrisia. Mi ricompongo, ma quello stato rimane, anche quando la notte si dorme a -15 gradi nella guest house li vicino. La notte! Si la notte nelle montagne del Tibet; non c’è la luce artificiale delle città che oscurano le stelle. Alzando gli occhi le vedo tutte. Alcune, l’astronomia, forse, deve ancora scoprirle… Mi “diverto” ad unire con linee immaginarie le stelle, creando strade, visi, parole, situazioni che sembrano anticiparmi ciò che accadrà in futuro… Shhh, è ora di dormire… Ma prima una lacrima di gioia.. anche due va! 
A proposito della guest house… Li alloggiava anche una famiglia dal Messico: padre italiano, madre messicana e il figlio di 14 anni. Stavano facendo il giro del mondo in un anno, approfittando dell’anno sabbatico che viene concesso ogni 7 anni. Mi sembra che valesse per docenti di università come loro. Il figlio perderà un anno di scuola ma  con l’esperienza che sta facendo ci guadagnerà tutta la vita… Bravi! Ci si rivede in Messico per raccontarci! 
Man mano che che ci si sposta dalla zona del Tibet che ho visitato verso il Nepal, l’altitudine diminuisce da 5300 a 2000 e ci si trova a costeggiare il fiume Yellow in mezzo le montagne ricoperte di verde… Che panorama!! Ne rimango incantato e vorrei che questa giornata non finisse mai. Ma arrivano anche le risate…
Sempre assieme alla famiglia di El Salvador, attraversato il confine cinese del Tibet, ci troviamo in Nepal e c’è solo una strada stretta, non asfaltata  e infangata in mezzo le montagne che porta a Kathmandu, la capitale del Nepal. In questa strada passa di tutto: gente a piedi, camion, bus, moto, cani. La maggior parte dei bus e dei camion si piantano in alcune salite ripide e quindi si assiste ai vari tentativi di attraversamento di quel dato pezzo di strada. I camion e i bus ringhiano, accelerano da fermi, prendono la rincorsa, fumo del carburante bruciato ovunque, ruote che sgommano facendo volare il pantano e creando nuove buche, gente che riprende con il telefono. Ma niente, il primo tentativo è stato vano. Si ricomincia. Due, tre, fino anche 10 volte… Nel frattempo le code dei mezzi da ambo i lati si allungano. Ma chi se ne frega se non arriviamo a Kathmandu io sto bene anche qui a guardarmi lo show! 
Dopo qualche ora riusciamo ad attraversare quel tratto di strada e arriviamo nella capitale. Saluto caldamente la famiglia di El Salvador con l’appunto che se passo dalle loro parti vado a salutarli.
Sono a Kathmandu da qualche giorno, c’è un gran caos che i primi due giorni mi ha frastornato. Molti turisti nel centro, ma ora mi sono abituato a questa frequenza. E’ il problema che ho ogni volta quando passo da posti incontaminati alle città caotiche. 
Ho conosciuto persone molto interessanti, viaggiatori che come me, usano questa esperienza per conoscere meglio loro stessi. Kathmandu, cominci a piacermi, tu profumi un po’ di quell’India che già conosco ma a breve ti lascio per mete “ignote” :-D